1° gennaio 2014. È solo
un numero in fondo, una data come molte altre nel calendario. In
fondo
cos’è? Un’altra delle mille convenzioni che soddisfano il
bisogno spontaneo di ordine. Un bel modo per poter alimentare
l’attesa quando questa si fa pressante. Un metodo per invogliarci a
fare count down o a tenerci sulle spine quando vorremmo che il tempo
si fermi.
Quando ero molto molto
piccola il mio tempo era cadenzato dai ritmi scuola/vacanza,
inverno/estate e per lungo tempo non ho mai percepito l’anno come
quel lasso di tempo composto da 12 mesi e 365 giorni. Agosto è
sempre stato la fine di qualcosa e settembre l’inizio di un’altra.
E allo stesso modo maggio e giugno.
Le stagioni addirittura
seguivano il corso dei semestri scolastici e probabilmente non c’era
niente che non avesse un senso al di là della sua relazione con la
scuola. Anche il periodo natalizio si faceva sentire già sui banchi
di scuola ancor prima che se ne sentisse l’atmosfera generale.
Questo forse perché ho
studiato dalle suore. E le suore hanno sempre avuto la tendenza a
schematizzare qualsiasi cosa e a insegnare il ciclo della vita
attraverso le festività sacre. E così verso marzo o aprile
ritagliavamo rondinelle di cartone da attaccare alle pareti facendo
in modo che sembrassero svolazzare su alberi fioriti e fiori di
pesco. Il tutto ovviamente abbinato al santo più importante di quel
mese. La primavera finiva quando le rondinelle di cartone venivano
rimpiazzate da soli splendenti e ombrelloni. E poi il mese di maggio
aveva una sua autonomia e una certa autorità. Il mese della Madonna
e dei rosari infiniti snocciolati ad un rosario dimensione bimbo, ma
solo per i grani multicolore. Il mese di maggio, fintanto che le
suore lo hanno imposto, è sempre stato il mese dei fioretti. Io
direi dei sacrifici, mastodontici per bambini di 7, 8 o 9 anni. La
madonnina di gesso che troneggiava nell’atrio quadrato della nostra
scuola era ghiotta di piccoli e grandi sacrifici. E tra i più
gettonati c’era quello di non guardare Bim Bum Bam o non mangiare
la nutella. Non ho mai capito perché tanto compiacimento nel vedere
una massa di mocciosi soffrire senza la loro merenda a pane e
nutella.
Ogni piccolo fioretto era
ripagato però dalla certezza che dopo maggio c’erano le vacanze
estive. E allora sì che un altro periodo dell’anno cominciava.
Allo stesso modo si
diceva addio ai secchielli e si cominciavano già a scrivere
letterine di addii strappalacrime alle amiche di spiaggia ritornate
nelle loro rispettive città e si faceva il punto della situazione
tra matite colorate, colori a spirito e alla ricerca della cartella
che avrebbe reso migliore la nostra reputazione nel piccolissimo
mondo della scuola elementare.
E così di nuovo a
salutare un nuovo inizio, a disegnare castagne e a cercare di
imparare S. Martino.
Non c’era anno solare
che riuscisse ad impormi tempistiche che fino ad una certa età sono
appartenute solo agli adulti attorno a me. Natale cominciava con la
devozione alla Madonna Immacolata, lo strazio dei canti e dei
lavoretti di sughero (regolarmente fatti dalle suore perché
altrimenti ci bruciavamo le dita!) e si sdoppiava nella pagana
letterina pretenziosa a Babbo Natale e a One di Bim Bum Bam. Credo
quelle letterine le leggesse Paolo Bonolis in persona ma finché ho
avuto testardaggine per scriverle la mia fiducia in One è rimasta
saldissima. Volevo a tutti i costi il disco di Fivelandia per Natale.
Non ci sono mai riuscita!
Natale a scuola arrivava
sempre prima personificato in un Bambin Gesù sovrappeso e anemico in
una culla di legno. E per tanto tempo ho fatto confusione tra Gesù
bambino e Babbo Natale. Il mio problema era riuscire ad accordare le
due cose senza escluderne nessuna. È durata fino a quando ho deciso
di escluderli entrambi.
In quel periodo sì che
eravamo verso la fine dell’anno. E a parte prendere l’abitudine
di scrivere 1990 invece di 1989 sulle date in cima ai dettati, per me
nulla cambiava. Dopo Capodanno si aspettava la Befana e sulle tavole
c’erano ancora gli stessi dolci di Natale e Santo Stefano.
Il mio anno nuovo
cominciava il 7 gennaio, quando dovevo tornare a scuola e scrivere un
tema su come avevo trascorso le vacanze natalizie. Dopo i primi due
anni devo dire che eravamo allenatissimi. E con quattro frasi
collaudate campavi tutte le elementari.
Questo era l’anno
solare per me e i botti di capodanno mi mettevano in allerta per
l’arrivo della Befana. Qualche volta mi dimenticavo anche di
spostare i Re Magi più vicini alla culla del bambinello ma la calza
della befana era pronta già dall’8 dicembre.
Ora che non sono più una
bambina l’inizio di un anno nuovo è solo un alibi perfetto per
ricominciare a fare le cose dal principio meglio di come le avevo
fatte nell’anno appena salutato. È l’occasione per avere dei
propositi e la Befana non l’aspetto più perché ci penso da sola a
comprarmi quello che mi serve. L’unico onere che spetta alla Befana
adesso è ricordarmi che inizia quella parte dell’anno in cui è
meglio cominciare a mettere giù qualche chilo!