giovedì 11 settembre 2014

Ennesima casa down under. It's not a place. It's a feeling.



È un mese che abitiamo in questa casa. È vecchiotta, è vero. Si è presentata in tutta la sua precarietà dal primo momento. Non ha un armadio a muro. Il pavimento scricchiola e il camino fischia. Il lavandino è minuscolo e o ti bruci o congeli per lavare le stoviglie. Ma solo oggi ho appeso ai muri, un po’ ingialliti, alcune fotografie che mi porto dietro da mesi. È come un rituale che si ripete, un’espirazione a polmoni pieni che decreta l’avvenuto assestamento. È l’ottava casa che cambiamo da quando siamo down under. È l’ennesima sistemazione che ci porta valige mezze piene tra i piedi e cavi, lenzuola, cartoni del latte zeppi di utensili di ogni tipo.


Una volta una persona che non mi conosce affatto mi ha detto, presa dal bisogno di giudicare senza capire, che non sono in grado di adattarmi. Tutti sono in grado di adattarsi quando si spostano continuamente, quando hanno sempre le valige pronte e rotoli di scotch sempre nuovi. Ma io ho bisogno del livello successivo anche quando so che dovrò lasciare un posto per un altro. Ho bisogno di sentirlo mia. Ho bisogno che porti almeno un segno di me che me lo faccia sentire come casa mia. E non è qualcosa di immediato. È trascorso un mese da quando abbiamo messo piede la prima volta qui e solo oggi ho preso martello e chiodi e ho appeso ai muri alcune foto che mi porto dietro da una vecchia casa: Charlie Chaplin, Frida Kahlo, Cristian e me.

Allo stesso modo l’odore di incenso. Sembra aprire i polmoni per lasciare entrare con più facilità l’atmosfera di agio. Perché quello che conta è sentirsi a proprio agio e che importa se usiamo qualche sotterfugio per ottenere il risultato?! La casa è quella in cui ci sentiamo a casa e basta poco per sentirsi a casa ovunque. È sufficiente sempre una sola ed unica cosa: la consapevolezza di sé e la voglia di restare se stessi anche in campo al mondo.

mercoledì 27 agosto 2014

Bye Bye Italy!

Dopo moltissimo tempo lontana dal mio blog, ci ritorno come si ritorna a qualcosa che sai che sarà sempre lì ad aspettarti, quel contenitore che non nega mai di farsi riempire con tutto ciò che desideri.

Viste da lontano le cose sembrano sempre più nitide di quelle che poi sono state vivendole e questa nitidezza è quello che rimane, uno sguardo pulito su quello che è stato. E visto da qui, l'ultimo periodo è stato nitidissimo. Siamo tornati in Italia e ci siamo sposati!
Attraverso i miei occhi è stato un turbinio inarrestabile di emozioni che non lasciavano nemmeno il tempo di sentirne un'altra arrivare a bomba. Il risultato è stato un leggero stordimento che il nostro rientro in Australia ha mitigato velocemente. 

Come è stato rientrare in Australia? E' stato come voltare le spalle. Non saprei dire se in senso positivo o negativo ma è stato così. E' stato come abbandonare una festa prima che finisse. L'Australia ci ha riaccolti con una temperatura glaciale come a volerci strappare via velocemente il cerotto dell'estate (anomala!) italiana da cui venivamo. E' stato un po' come arrivarci per la prima volta per certi versi e non perché dovessimo abituarci a cose che non conoscevamo ma semplicemente perché a 24 ore dal nostro ritorno abbiamo dovuto traslocare ancora. Chi ha letto il mio blog sa benissimo che non è la prima volta. Infatti adesso siamo a quota 8 traslochi in 15 mesi. bella media, direi! Insieme alle valige pacchi e pacchetti ogni volta tocca mettersi in spalla anche il grosso punto interrogativo sul quel che sarà. 
Ed eccoci di nuovo qui.

Come mi è sembrata l'Italia al mio ritorno? Un batuffolo d'ovatta in cui riunirsi davanti ad un piatto di spaghetti e una bottiglia di vino ha sempre molto più sapore di un insano moto di disperazione ascoltando il tg. Perché gli italiani danno il meglio con lo stomaco pieno, tirano fuori le emozioni con più autenticità quando hanno amici a pranzo e il forno acceso. Possono invidiarci qualsiasi cosa, provare ad imitare la nostra cucina, prenotare vacanze costose sulla costiera amalfitana ma nessuno nel mondo riuscirà mai a capire cosa significa davvero l'amore all'italiana. E non sto riducendo tutto ad un piatto di spaghetti ma a quello che ci sta attorno, nonostante la regressione, la crisi, le statistiche allarmanti e la disperazione di arrivare a fine mese.
L'Italia dopo un anno mi è sembrata ancora più bella di come l'avevo lasciata e le persone che amo sempre più meravigliose. Ho rivalutato persone che pensavo contassero e invece non contano affatto e ne ho scoperte intimamente altre che ringrazio tutti i giorni il cielo di aver messo nelle nostre vite. Una in particolare perché è stata la più grande sorpresa che potessimo avere al nostro rientro. Lui sa che mi riferisco a lui. Sei entrato a pieno titolo nell'esercito delle persone che amiamo incondizionatamente. 

Non posso più fare paragoni perché i paragoni non reggono e non li farò perché se mi chiedete cosa preferisco....non posso rispondere. Non conosco la risposta e non voglio rispondere. Sono il campo di battaglia fra la ragione e la passione. Non c'è soluzione di continuità. Quindi non mi resta che andare dove devo andare e fare quello che riesco a fare cercando di mantenere sempre intatta la consapevolezza di me stessa, godendo di ciò che di buono riesco a trarre da me stessa. 

sabato 3 maggio 2014

1° Aussieversario: un anno in Australia



4 maggio 2013 - 4 maggio 2014
Un anno fa vivevamo il nostro ultimo giorno in Italia. E tanto quanto sembrava lontana l’Australia, tanto lontano sembrava il giorno in cui avremmo potuto dire “è un anno che siamo via”.
Ed eccolo qui, il nostro primo Aussieversario, in tutta la sua consistenza. Un anno fa lasciavamo l’Italia, un po’ curiosi, molto impauriti, di certo molto ansiosi e senza ombra di dubbio consapevoli di intraprendere un lungo viaggio che non dava spazio a ripensamenti.

Fiumicino un anno fa
È stato molto facile decidere di lasciare l’Italia e non voglio soffermarmi sul perché. Ci sarebbe da fare una lunga lista. Forse meno facile è stato salutare tutti non sapendo quando li avremmo rivisti. E la parte più difficile è sicuramente stato salutare i nipotini sapendo che li avremmo rivisti cresciuti di parecchio, considerando la velocità con cui crescono i piccolini. Nel frattempo è venuta al mondo un’altra e forse quello è stato l’unico vero momento in cui non saremmo voluti essere da nessun altra parte se non lì, ad accoglierla nel mondo.

Un anno è passato e noi siamo molto cambiati. Ci si abitua a tutto e noi ci siamo già abituati ai nuovi noi. Sicuramente chi ci rivedrà adesso dopo un anno noterà piccolezze a cui noi non facciamo più caso. Ma anche questo è in ballo quando si decide di provare a stabilizzarsi in un posto tanto lontano, geograficamente e culturalmente dall’Italia. Non siamo partiti per viaggiare, sebbene stando qui ti vien voglia di mettere lo zaino in spalla ed esplorare in lungo e in largo e ti vien voglia di andare a visitare le isolette del Pacifico e vedere l’Asia. Siamo partiti per cambiare. Abbiamo cercato di trovare un equilibrio tra quello di cui avevamo bisogno e quello che ci solleticava l’immaginazione. Abbiamo effettivamente visto posti grandiosi e abbiamo però anche preso un po’ di quello di cui avevamo bisogno: un po’ di pace e serenità, la gioia di non svegliarsi sempre preoccupati.



  
Non possiamo dire che è stato facile. Non lo è stato per un milione di ragioni. Abbiamo attraversato momenti in cui non eravamo al nostro meglio ma siamo sempre caduti in piedi perché sapevamo che non valeva la pena soffrire delle stesse ansie da cui eravamo scappati. Così abbiamo trovato il modo di liberarci delle inutilità, partendo dai pensieri inutili per arrivare alle persone inutili e siamo ripartiti da noi. In fondo si parte sempre da se stessi e se c’è qualcosa che ormai ci è più chiaro del sole è che bisogna sbarazzarsi delle persone e delle situazioni che ci incupiscono e negativizzano perché siamo noi a camminare sulle nostre gambe e siamo noi a dover decidere il cammino. Spetta a noi la scelta e la prima scelta, la più importante che si possa fare per cominciare bene, è quella di essere felici. 

In questo anno abbiamo imparato a distaccarci un po’ dalle cose. Abbiamo imparato a guardare le situazioni da lontano e ci abbiamo visto meglio perché solo grazie alla distanza tra noi e l’Italia siamo riusciti a capire che tra le cose da mettere nel cestino “da sbarazzarsi” c’è il disfattismo, la resa, il lamento e il cinismo. Chi si lamenta non combatte. E chi non combatte non saprà mai cosa avrebbe potuto guadagnare facendolo.
Tra poco torneremo in Italia, solo per una breve vacanza. E dopo ci sarà ancora l’Australia ad aspettarci. Per un anno ancora o forse più, non lo sappiamo. Sappiamo solo che volevamo cambiare e lo abbiamo fatto.

lunedì 24 marzo 2014

BellAustralia dopo 11 mesi



In Australia da 11 mesi e tantissime cose sono cambiate. Per cominciare io ho imparato a fare le valige in fretta e sono quasi ad un punto di svolta con il mio problema con i traslochi. Ne abbiamo fatti 7 negli ultimi 11 mesi senza contare il trasferimento qui in Australia. Cambiare casa non implica soltanto che il senso organizzativo funzioni alla perfezione ma richiede anche una capacità di adattamento fuori dal normale. Già normalmente non si può avere tutto quello che si desidera. In questa situazione poi, di cambiamenti veloci e radicali, bé, adattarsi è la parola d’ordine. E si tratta di un adattamento a scatole cinesi perché adattarsi ad una nazione diversa con una cultura diversa, una lingua diversa, abitudini diversi non è la sola sfida. 

Poi occorre adattarsi alle varie sistemazioni, al cibo, e alle persone. Impossibile ragionare all’europea quaggiù e bisogna tutti i giorni fare i conti con se stessi per riuscire a farsi conoscere nonostante la lingua e integrarsi nonostante le diversità. Persino l’humour mi ha creato piccole difficoltà all’inizio perché, so che è ridicolo, ma non sapevo mai quando ridere e non capivo se certe battute erano barzellette, umorismo, sarcasmo o chenesoio.

Dopo 11 mesi involontariamente ci siamo abituati a tante cose che all’inizio sembravano insormontabili e dico insormontabili per noi che viviamo nella vera Australia, quella fuori dalle city super fornite di tutto, fuori dal global environment che la città ti propone in quanto metropoli multiculturale. L’Australia che abbiamo vissuto noi è quella del formaggio e uova a colazione, quella in cui trovi il pancarrè ma non il pane (se lo vuoi devi pagarlo un botto e andare a cercarlo in giro!), è l’Australia che per andare dal medico devi fare 30 km a sud e per fare la spesa 35 a est. Insomma, non è tutto scontato qui e quando dall’Italia ce la mettono facile mi chiedo quale tipo di vita si immaginano noi facciamo qui. 
Qui stiamo imparando a non dare tutto per scontato, a non cullarci nelle comodità a cui eravamo abituati, a motivarci per qualsiasi cosa e ad apprezzare l’Italia per quello che non vedevamo più vivendoci. Qui abbiamo soprattutto imparato ad affinare il nostro spirito critico e a guardare le cose da dentro e non a giudicarle solo per il loro lato luminoso. L’Australia non è la terra che tanti immaginano in Europa. E se ci sono casi molto fortunati di emigrati che qui si sono arricchiti, bé, allora è meglio che si approfondiscano i singoli casi per capire il perché e il come. 
Il paese è molto chiuso e ogni singola ingerenza è regolamentata a dovere in modo da favorire i locali. Fin qui mi sembra tutto giustissimo. Come mi sembra giusto che l’Australia si protegga ma anche questo paese ha due facce distinte e mentre manda alle stelle le rate universitarie per gli europei, dall’altro apre le porte all’Asia lavorando su uno scambio di interessi che si riduce tutto qui, in questo lato di mondo. Il famoso working holiday visa rimpinza l’Australia di manodopera a basso costo e tirando le somme tutti i soldi che noi working holiday holder spendiamo girano e rigirano qui, nelle tasche del governo. La carta d’oro, la migliore da giocarsi secondo me è l’Università. Bisognerebbe avere tanti soldi per potersi permettere un master o un dottorato in modo da conseguire una qualifica australiana e dunque pienamente riconosciuta che possa a lungo termine essere spendibile qui. Da quello che vediamo la professionalità europea non è importata a scatola chiusa e il benestare del governo passa necessariamente attraverso esami, riconoscimenti (a suon di dollari!!!!) e perfezionamenti di matrice australiana. In poche parole, il sistema educativo australiano ci deve mettere il suo zampino altrimenti nada!

A tutto ciò bisogna aggiungere una buona quantità di buona volontà e determinazione per quello che riguarda la lingua perché a meno che l’inglese in dotazione non sia quello appreso durante numerosi viaggi all’estero, quello scolastico non è mai sufficiente. Noi abbiamo attraversato incredibili difficoltà all’inizio e anche adesso quando passiamo da una lingua all’altra repentinamente ci sembra strano perché il cervello è ancora in fase di adattamento e non è raro che nell’italiano ci scappino alcune parole in inglese. Ma ci siamo accorti che si tratta di fasi. Il cervello si adatta e assorbe anche grazie a tanta tv e giornali. L’importante è non avere paura di parlare. Bisogna buttarsi, sbagliare, fare figuracce ma l’inglese arriva. E arriva anche il momento in cui si riesce persino ad incazzarsi in inglese, o ad essere simpatici. Non è facile sentirsi veramente se stessi parlando un’altra lingua. Ma questo è e questo bisogna attraversare per integrarsi.
Dopo 11 mesi qui però non vedo l’ora di tornare in Italia e fare l’italiana 100% davanti al mio cappuccino e al mio croissant zeppo di crema e non vedo l’ora di ascoltare l’italiano parlato in massa perché quello manca davvero. Non so cosa sarà in futuro, se saremo ancora qui o se decideremo di tentare altrove. Quello che sappiamo per certo è che non sarà mai una passeggiata, come non lo era vivere in Italia e come non lo è stata fin ora vivendo qui nella terra dei canguri.
L'Australia è stupen
da ed è esotica non per questo perfetta.

Ps. Per chi fosse interessato, i datori di lavoro bastardi e incorretti ci sono anche qui. Non fatevi raccontare favolette sulla perfezione di questo paese perché non esiste. Non lasciate che l’Australia vi appaia perfetta perché la paragonate all’Italia. Sono due cose completamente diverse. Non vale il giochetto che qualsiasi posto è meglio dell’Italia adesso. Anche io la pensavo così all’inizio ma non è vero. Prima di dirlo andate all’estero e provate ad essere immigrati. Nessuno vi aspetta a braccia aperte!

mercoledì 12 febbraio 2014

Non esiste fuso orario nell'attesa - Zia alla 6°



Non esiste fuso orario nell’amore. Non esiste fuso orario soprattutto nell’attesa. 

E qui con il sole che si allunga su una giornata già a metà del suo corso, vivo questa notte italiana con l’ansia di chi aspetta la vita che si manifesta nel massimo della sua potenzialità.

Per ogni non-mamma che si immola alla carriera c’è una donna che lascia a casa i suoi figli maggiori e combatte urlando per permettere alla vita di farsi meravigliosa. Ed è in quel dolore che squarcia la notte e risucchia il silenzio che si sublima il meraviglioso che ormai da ciechi crediamo di non vedere più.

Per ogni bimbo che nasce c’è una donna che piange di gioia e mani di padri che si stropicciano per la curiosità e per l’ansia. 

E mentre la vita fuori scorre come se tutto colasse a picco ingrigito dalle invalicabili insoddisfazioni di chi si addormenta sperando, nel luogo più segreto in assoluto un bimbo spinge per cercare la luce. Perché sebbene il mondo sembri il posto meno ideale per un bimbo adesso, è solo la tristezza che fa dimenticare che solo mille bimbi che squarciano la notte con urli disperati possono renderlo meraviglioso. 

Per ogni bimbo che nasce, una malinconia viene cancellata, un sogno si avvera e un sorriso sorge come una barca che è tornata dritta a solcare il mare.

martedì 31 dicembre 2013

Meno 4, 3, 2, 1 e....si ricomincia a contare!

1° gennaio 2014. È solo un numero in fondo, una data come molte altre nel calendario. In fondo
cos’è? Un’altra delle mille convenzioni che soddisfano il bisogno spontaneo di ordine. Un bel modo per poter alimentare l’attesa quando questa si fa pressante. Un metodo per invogliarci a fare count down o a tenerci sulle spine quando vorremmo che il tempo si fermi. 

Quando ero molto molto piccola il mio tempo era cadenzato dai ritmi scuola/vacanza, inverno/estate e per lungo tempo non ho mai percepito l’anno come quel lasso di tempo composto da 12 mesi e 365 giorni. Agosto è sempre stato la fine di qualcosa e settembre l’inizio di un’altra. E allo stesso modo maggio e giugno.
Le stagioni addirittura seguivano il corso dei semestri scolastici e probabilmente non c’era niente che non avesse un senso al di là della sua relazione con la scuola. Anche il periodo natalizio si faceva sentire già sui banchi di scuola ancor prima che se ne sentisse l’atmosfera generale.
Questo forse perché ho studiato dalle suore. E le suore hanno sempre avuto la tendenza a schematizzare qualsiasi cosa e a insegnare il ciclo della vita attraverso le festività sacre. E così verso marzo o aprile ritagliavamo rondinelle di cartone da attaccare alle pareti facendo in modo che sembrassero svolazzare su alberi fioriti e fiori di pesco. Il tutto ovviamente abbinato al santo più importante di quel mese. La primavera finiva quando le rondinelle di cartone venivano rimpiazzate da soli splendenti e ombrelloni. E poi il mese di maggio aveva una sua autonomia e una certa autorità. Il mese della Madonna e dei rosari infiniti snocciolati ad un rosario dimensione bimbo, ma solo per i grani multicolore. Il mese di maggio, fintanto che le suore lo hanno imposto, è sempre stato il mese dei fioretti. Io direi dei sacrifici, mastodontici per bambini di 7, 8 o 9 anni. La madonnina di gesso che troneggiava nell’atrio quadrato della nostra scuola era ghiotta di piccoli e grandi sacrifici. E tra i più gettonati c’era quello di non guardare Bim Bum Bam o non mangiare la nutella. Non ho mai capito perché tanto compiacimento nel vedere una massa di mocciosi soffrire senza la loro merenda a pane e nutella.
Ogni piccolo fioretto era ripagato però dalla certezza che dopo maggio c’erano le vacanze estive. E allora sì che un altro periodo dell’anno cominciava. 

Allo stesso modo si diceva addio ai secchielli e si cominciavano già a scrivere letterine di addii strappalacrime alle amiche di spiaggia ritornate nelle loro rispettive città e si faceva il punto della situazione tra matite colorate, colori a spirito e alla ricerca della cartella che avrebbe reso migliore la nostra reputazione nel piccolissimo mondo della scuola elementare.
E così di nuovo a salutare un nuovo inizio, a disegnare castagne e a cercare di imparare S. Martino.
Non c’era anno solare che riuscisse ad impormi tempistiche che fino ad una certa età sono appartenute solo agli adulti attorno a me. Natale cominciava con la devozione alla Madonna Immacolata, lo strazio dei canti e dei lavoretti di sughero (regolarmente fatti dalle suore perché altrimenti ci bruciavamo le dita!) e si sdoppiava nella pagana letterina pretenziosa a Babbo Natale e a One di Bim Bum Bam. Credo quelle letterine le leggesse Paolo Bonolis in persona ma finché ho avuto testardaggine per scriverle la mia fiducia in One è rimasta saldissima. Volevo a tutti i costi il disco di Fivelandia per Natale. Non ci sono mai riuscita!
Natale a scuola arrivava sempre prima personificato in un Bambin Gesù sovrappeso e anemico in una culla di legno. E per tanto tempo ho fatto confusione tra Gesù bambino e Babbo Natale. Il mio problema era riuscire ad accordare le due cose senza escluderne nessuna. È durata fino a quando ho deciso di escluderli entrambi.
In quel periodo sì che eravamo verso la fine dell’anno. E a parte prendere l’abitudine di scrivere 1990 invece di 1989 sulle date in cima ai dettati, per me nulla cambiava. Dopo Capodanno si aspettava la Befana e sulle tavole c’erano ancora gli stessi dolci di Natale e Santo Stefano.
Il mio anno nuovo cominciava il 7 gennaio, quando dovevo tornare a scuola e scrivere un tema su come avevo trascorso le vacanze natalizie. Dopo i primi due anni devo dire che eravamo allenatissimi. E con quattro frasi collaudate campavi tutte le elementari.

Questo era l’anno solare per me e i botti di capodanno mi mettevano in allerta per l’arrivo della Befana. Qualche volta mi dimenticavo anche di spostare i Re Magi più vicini alla culla del bambinello ma la calza della befana era pronta già dall’8 dicembre.
Ora che non sono più una bambina l’inizio di un anno nuovo è solo un alibi perfetto per ricominciare a fare le cose dal principio meglio di come le avevo fatte nell’anno appena salutato. È l’occasione per avere dei propositi e la Befana non l’aspetto più perché ci penso da sola a comprarmi quello che mi serve. L’unico onere che spetta alla Befana adesso è ricordarmi che inizia quella parte dell’anno in cui è meglio cominciare a mettere giù qualche chilo!